Il primo documento che presentiamo è anche il documento più antico conservato nell’archivio storico comunale.

È una copia della lettera ducale con cui il 25 aprile 1425 Filippo Maria Visconti, in qualità di Duca di Milano, Conte di Pavia e di Angera e Signore di Genova, confermò la concessione degli statuti al Comune di Palazzolo. Si apprende, infatti, dal testo del documento che il Comune e gli uomini di Palazzolo, nella diocesi di Brescia, inviarono al Visconti la richiesta di approvare gli statuti che essi avevano provveduto a fare redigere per il buon governo del loro territorio. Da parte sua, il Duca di Milano fece esaminare attentamente tali statuti ai suoi giuristi di fiducia e, dopo avere fatto operare qualche correzione e modifica, provvide ad approvare le 221 norme inserite nel volume degli statuti di Palazzolo, riservandosi tuttavia, anche per il futuro, la possibilità di correggere, modificare, aggiungere o togliere quanto gli sembrasse opportuno.

Ma che cosa era un volume di statuti per una comunità del XV secolo?

Lo statuto è un insieme di regole che veniva posto alla base di una città, per cui risultava essere espressione dei suoi stessi organi e vincolava tutti i cittadini, il loro modo di essere e di agire a garanzia della vita collettiva. In altre parole, si può dire che lo statuto era il programma che la città assegnava a se stessa ed è per questa sua funzione che in esso si prevedevano i comportamenti collettivi come anche le responsabilità personali, le strategie cittadine e gli impegni individuali, i programmi a lunga scadenza e gli appuntamenti giornalieri; in linea generale, incombenze, compiti, legami, vincoli, preoccupazioni e sollecitudini che vedevano coinvolti tutti coloro che si riconoscevano nella città e nella sua collettività.

I libri degli statuti sono i testimoni di quel processo nel quale l’opera regolatrice dei comuni si sviluppò e istituzionalizzò per mezzo della scrittura. Quanto all’aspetto formale, in area lombarda, il libro degli statuti assunse il suo aspetto definitivo soltanto verso la fine del XIII secolo e, ancor più, nel corso del XIV secolo, quando si attuò il passaggio all’organizzazione unitaria del codice, suddiviso in parti o libri con numerazione e intitolazione delle singole disposizioni. Secondo uno schema generale, a cui si attiene anche lo statuto di Palazzolo: il primo libro riguarda le modalità di elezione delle magistrature e degli ufficiali, dei loro diritti, doveri e competenze; il secondo la giustizia civile; il terzo quella penale; il quarto contiene la dettagliata casistica sui danni prodotti da persone e animali, e relativi risarcimenti.

A questi alcuni statuti aggiungono talvolta un quinto libro relativo alle norme di interesse pubblico, di comportamento sociale e di rispetto di norme igieniche, spesso a integrazione delle attribuzioni inserite nel primo libro per gli ufficiali del comune.

Da queste poche note si può intuire come gli statuti siano una fonte di straordinario interesse, che permette di comprendere i diversi aspetti della civiltà medievale: istituzioni politiche e amministrative, diritto e procedura civile e penale, strutture economiche e sociali, urbanistica, viabilità, trasporti, sistema doganale, politica annonaria ed ecclesiastica, devozioni civiche, ordinamenti militari, stipendi, salari, prezzi dei generi di consumo, soltanto per fare alcuni esempi. In sostanza, nella loro pluralità e varietà gli statuti rispecchiano da vicino la società da cui sono stati espressi.

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